Diligite iustitiam, qui iudicatis terram

 

Valentina Pagliai (Robert F. Kennedy Human Rights)

Dante Notes / August 1, 2020

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Spettacolo teatrale dei detenuti del Carcere di Sollicciano nell’auditorium interno al carcere, Firenze, 14 luglio 2016, © Niccolò Cambi/Massimo Sestini

In questa nota vorrei dare conto di due filoni di attività che il dipartimento di educazione ai diritti umani del Robert F. Kennedy Human Rights Italia, che dirigo dal 2008, ha sviluppato utilizzando il testo della Commedia come spunto per parlare di diritti umani. Il verso che dà il titolo al mio contributo, il versetto biblico sillabato lettera per lettera dal collettivo delle anime del Cielo di Giove in Paradiso XVIII, è la linea che ha guidato il nostro lavoro, fin dal progetto che il Robert F. Kennedy Human Rights Italia ha realizzato, insieme al Prof. Ronald Jenkins (Yale University e Wesleyan University), nell’estate del 2016 con i detenuti del carcere di Sollicciano (Firenze) e che continua oggi in interventi nelle scuole secondarie di II grado del capoluogo toscano e di altre città d’Italia i cui docenti partecipano ai nostri corsi sui diritti umani.

Il primo progetto sviluppato dal nostro dipartimento, che era composto al tempo anche da Mariella Abruzzo che coordinò il lavoro, invitava un gruppo di detenuti a riflettere sul significato di giustizia, partendo proprio dalla figura di Dante, anche lui un uomo condannato dalla legge del suo tempo e condannato a morte, letta in parallelo a quelle di altri attivisti per i diritti umani come lo stesso Robert Kennedy, Malala Yousafzai, Kailash Satiarthi, Gabor Gombos, Frank Mugisha, Digna Ochoa, Van Jones, l’italiano Pietro Bartolo, il “medico dei migranti” di Lampedusa ed i giudici antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Da subito il tema ha innescato un doppio ordine di riflessioni: da un lato che cosa rappresentava (e come veniva rappresentata) la giustizia ai tempi di Dante e dall’altro, immancabilmente, come questa viene intesa oggi. Dopo aver letto alcuni brani della Commedia, così come le storie degli attivisti, i detenuti coinvolti nel progetto hanno prodotto una propria sceneggiatura raccontando le loro vite, in un viaggio ipotetico dall’Inferno al Paradiso. Il risultato del percorso è stata una rappresentazione teatrale il cui testo è stato interamente scritto dai carcerati/attori sulla base sia delle proprie esperienze personali, sia di quelle dei personaggi incontrati durante il progetto. Alla fine, la performance è stata arricchita dai canti gregoriani citati da Dante, a cura del Coro fiorentino “Viri Galilaei”, che hanno aiutato a ricostruire l’atmosfera infernale e paradisiaca con esercizi di libera vocalità associati al movimento.

La tematica della giustizia in Dante ed ai giorni nostri è al centro anche di progetti che portiamo in molte scuole, declinandola attraverso giochi di ruolo.  Il progetto inizia con alcuni incontri (di circa 4 ore totali) in cui  viene introdotto l’argomento: si procede con la definizione dei concetti di giustizia, diritto e legge partendo da un breve excursus storico/filosofico sulle tappe fondamentali dei diritti umani. In particolare il trinomio viene affrontato insistendo sui principi affermatisi alla fine del XVIII secolo con la Rivoluzione Americana e la Rivoluzione Francese, sul principio di giusnaturalismo, di positivismo  e sull’importanza che, nelle istituzioni democratiche, ha la legge per tutelare i diritti dei cittadini. Si prosegue poi col raccontare la vita di Dante e le vicende storiche che lo hanno costretto ad abbandonare la propria città; dai dati biografici si passa alla lettura guidata, da noi e dai docenti di Lettere, di alcuni Canti della Commedia. Nella seconda fase chiediamo ai ragazzi ed alle ragazze di scrivere su un foglio la propria definizione di giustizia e di cercare poi tra i compagni e le compagne chi ha dato la stessa risposta, confrontandosi sul processo che li ha portati a scegliere determinati elementi per definirla. L’attività si conclude con debriefing, durante il quale i partecipanti dialogano tra loro sul senso della giustizia, sul significato che ha avuto nella vita di Dante e dei personaggi incontrati nella lettura della Commedia.

Gli studenti e le studentesse hanno spesso messo in scena lo spettacolo teatrale scritto da Ariel Dorfman sulla base del libro Speak Truth to Power di Kerry Kennedy (NY: Umbrage Editions, 2000) che racchiude le storie degli attivisti per i diritti umani analizzate nell’ambito del progetto, arricchendo il testo e la messa in scena con le storie dei personaggi incontrati nella lettura della Commedia e di altri testi. Così un Liceo Classico di La Spezia si è concentrato sul testo del coro dell’Antigone di Sofocle, il primo testo tramandatoci in cui si parla di “women empowerment” e soprattutto della contrapposizione tra ius e lex, tra il diritto radicato ed immutabile dei legami sociali e famigliari, impersonato da Antigone, e la contingente e mutevole legge pubblica dello Stato, impersonata da Creonte.  

Affiancate all’incontro con il testo della Commedia e con la ricostruzione del contesto storico e legale del tempo di Dante, ci sono le vite degli attivisti, che vengono analizzate cercando di capire, insieme, se possa esistere una giustizia “universale” o se, soprattutto nell’ambito dei diritti umani, essa non debba essere letta attraverso la lente del relativismo culturale e temporale. Su questa base un Liceo Classico di Catanzaro ha messo in scena lo spettacolo alternando le storie degli attivisti con quelle dei personaggi dell’Inferno dantesco. I riferimenti più immediati che emergono nei progetti sviluppati nelle scuole vanno alle vicende di Paolo e Francesca e a quella di Ulisse, che si offrono da subito, nonostante la loro collocazione tra i dannati, come i campioni dei valori di autodeterminazione personale e intellettuale nei quali gli studenti si identificano.

Affrontando la lettura del Canto V dell’Inferno con gli studenti, ad esempio, emergono fondamentalmente due questioni. Da una parte il cammino di redenzione di Dante, che non si limita a descrivere le vicende ultraterrene, ma cerca di offrire possibilità di riscatto–o, comunque, di dar voce– alle anime che incontra; dall’altro il tema della giustizia di allora raffrontata con quella di oggi. La grande partecipazione emotiva che caratterizza l’incontro del protagonista con i due sventurati amanti, uccisi per mano di Gianciotto (marito di Francesca e fratello di Paolo), arriva al punto che per la pietà egli stesso sviene. Dopo la prima parte del racconto di Francesca, Dante è assorto nei propri pensieri e, ridestato da Virgilio, chiede come sia stato possibile che questo sentimento possa essersi trasformato in peccato. Dante non vede una colpa nella pulsione amorosa suscitata dalla lettura di un testo che parla d’amore, ma essa diventa tale allorché nell’esprimere quella pulsione si deroga ai precetti morali. È proprio questa contraddizione tra morale religiosa e forza dell’amore che fa scaturire nei lettori un’accesa simpatia verso i due amanti: tanto più che la loro vicenda viene narrata senza intenti moralistici, ma solo al fine di sottolineare l’eterno conflitto tra morale ed amore, entrambe forze inoppugnabili.

Letta oggi, la storia di Paolo e Francesca si aggancia da subito nelle conversazioni in classe alla urgente questione di come questi omicidi vengono trattati dalla stampa: si tratta–qui–di un “delitto passionale”, compiuto dal marito tradito dagli affetti più cari e quindi, in qualche modo giustificato? E dove sarebbero oggi, che la giustizia degli uomini segue regole diverse, Paolo e Francesca? Sia le vittime che l’assassino hanno, agli occhi di Dante, trasgredito l’uso della ragione: se i primi lo hanno fatto peccando di adulterio, non dominando la passione, il secondo ha fatto sì che il mancato controllo della ragione sulla passione lo abbia spinto fino all’omicidio, togliendogli umanità. Quale parallelismo, dunque, vi possiamo rintracciare con i tanti, troppi, femminicidi a cui assistiamo inermi e che vengono trattati dalla stampa  (che in taluni casi si ostina a definirli “passionali”) con meno pathos di quello dimostrato da Dante? Con questi interrogativi, insieme agli studenti ed alle studentesse, procediamo alla lettura di alcuni casi di attualità e proviamo ad immedesimarci nel giornalista che deve restituire all’opinione pubblica un caso di omicidio, aggravato dai rapporti spesso stretti tra la vittima (o le vittime) e l’assassino.

La vicenda di Ulisse, che pure è posto tra i consiglieri fraudolenti, suscita a sua volta riflessioni sull'ingegno e sul suo utilizzo: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza," scrive Dante. La ricerca della virtù e del sapere non ha vincoli ed è questa la cifra della virtù dell’eroe omerico, le cui vicende sono note agli studenti per aver intrapreso la lettura dell’Odissea negli anni della scuola secondaria di I grado. L'ingegno è un dono di Dio, ma il desiderio di conoscenza può portare alla perdizione se non è guidato da un altro tipo di virtù: la ragione deve operare anche a livello di passione intellettuale, affinché possa essere esercitata nella sua pienezza. Allo scellerato viaggio di Ulisse –il “folle volo” oltre le Colonne d’Ercole– si contrappone il viaggio di Dante, guidato dalla virtù divina.

Anche nei confronti di Ulisse Dante dimostra empatia: “e più lo ingegno affreno ch'io non soglio, / perché nol corra che virtù nol guidi”. Entrambi viaggiano spinti dalla sete di conoscenza, entrambi si sono perduti (Canto I: «ché la diritta via era smarrita»). Tuttavia Dante ritrova la retta via e, guidato dalla volontà divina, accede a una conoscenza superiore, mentre Ulisse non conosce questa ‘grazia’ e rimane nella sfera terrena; non ha una tensione etica e morale tale da indirizzare la canoscenza verso un fine giusto. Essa, anzi, rimane fine a sé stessa, facendo sì che il suo desiderio diventi negativo, coinvolgendo persino i compagni di viaggio nella catastrofe finale.

La vicenda dell’eroe omerico apre le porte a una riflessione collettiva su come viene interpretata la conoscenza in vari ambiti (dalla proliferazione di fake news al conseguente fenomeno del discorso d’odio, soprattutto sui social media) e soprattutto in culture diverse. Se perseguire “virtute et canoscenza” è un diritto e anzi un merito tanto degli studenti quanto degli studiosi, vi sono società in cui è pericoloso fare altrettanto e le misure repressive pongono forti e pericolosi limiti al libero esercizio dei diritti fondamentali. Ma anche perseguire la conoscenza a discapito del bene comune, della sicurezza di altre persone, si può considerare virtuoso?

La frase Diligite iustitiam, qui iudicatis terram che ha ispirato il lavoro nel carcere di Sollicciano è un'evidente esortazione ai potenti che reggono il mondo perché ispirino il proprio operato all'amore della giustizia. Essa ricorda le finalità che animano le attività di molte ONG che lavorano nell’ambito dei diritti umani: prima di tutto, vigilare sull’operato dei governi affinché siano mossi dalla giustizia e non dalla sete di sopraffazione. Nei progetti di lavoro nelle scuole, il tema della giustizia porta ad interrogarsi sul modo in cui Dante la declina in senso storico, geografico e culturale. Se per Dante la giustizia è il valore più alto che si può (e si deve) realizzare sulla terra grazie al coordinamento di poteri ed istituti temporali (l’Impero) e spirituali (la Chiesa), nel Paradiso il contesto teologico cristiano porta a dei momenti di frattura. È di nuovo il delicato rapporto tra la giustizia divina, che garantisce la salvezza nel cosmo di Dante, e la virtù umana dell’agire retto, che –sempre nel cosmo di Dante– non garantisce la salvezza in assenza della virtù della fede.

Nell’intreccio dei canti del Cielo di Giove, è proprio questo che angustia Dante: come possono persone che hanno vissuto in modo retto, ma che non hanno conosciuto il messaggio cristiano non essere in Paradiso? Qual è la giustizia che condanna gli antichi sapienti ed eroi che abitano il Limbo o chi è nato ‘su le rive de l’Indo’, oltre i confini della penetrazione del Cristianesimo? Come opera la giustizia divina? Questo dilemma è così forte che Dante lo paragona a un digiuno per saziare il quale non ha ancora trovato un cibo adatto. L’aquila risponde al Poeta che la ragione umana ha dei limiti, mentre la giustizia di Dio ne è priva ed è imperscrutabile. È quindi impossibile per l’intelletto umano trovare spiegazioni, ma si deve accettare la verità della fede così come ci è stata data dalla Scrittura. Questa risposta, che basta a Dante protagonista, non sembra sempre bastare ai lettori di oggi.

È utile, quindi ribadire che se è solo Dio che ha facoltà di escludere dal Paradiso, è solo Dio che ha facoltà di ammettervi chiunque. Molti che si credono certi della propria salvezza sono invece meno meritevoli di altri che non sono stati battezzati, afferma Dante, quando incontra nell’occhio della stessa aquila non solo Traiano, imperatore su cui circolavano leggende di conversione post-mortem, ma anche il troiano Rifeo, la cui vicenda è brevemente narrata nell’Eneide.

Il cammino di Dante verso la comprensione della Giustizia corre in parallelo con la riflessione sulle vite degli attivisti per i diritti umani: la maggior parte di essi sono considerati criminali dai propri Governi, ma si possono davvero considerare tali? È il caso dell’attivista gay ugandese Frank Mugisha, considerato criminale a causa delle leggi fortemente omofobe del suo Paese. O Malala Yousafzai, a cui a 15 anni i talebani spararono in testa mentre si recava a scuola, cosa proibita dal regime, ma anche i giudici Falcone e Borsellino assassinati 28 anni fa dalla Mafia perché non abbastanza protetti dallo Stato che servivano indefessamente.

Trasponendo nozioni e letture scolastiche nella vita quotidiana e mettendole in relazione al mondo che ci circonda, attività come queste che uniscano didattica formale a quella informale e non formale condotta attraverso attività didattico esperienziali (e ludiche) hanno un grande valore. Spingono gli studenti e le studentesse (ed anche i docenti) ad uscire dalle proprie abitudini di studio e insegnamento e ad attivare il pensiero critico anche su argomenti che, di solito, vengono recepiti con spirito passivo.

Valentina Pagliai is Senior Human Rights Education Manager at Robert F. Kennedy Human Rights